QUANDO UN CAPPELLO NASCONDE UN CERVELLO
Ci sono persone che seguono la moda e quelle, invece, che la fanno: Anna Piaggi è stata una vera icona, anticipatrice e musa per stilisti e artisti e anche di se stessa.
Aveva 81 anni il 7 agosto 2012, quando è scomparsa, lasciando si tanta tristezza, ma anche delle vere rappresentazione di stile.
Quello che in apparenza sembrava un “caos stilistico” era in realtà il frutto di un meticoloso,ma ludico incontro di stili.
Con lei nasce la figura della fashion editor, con la sua grande capacità di sintesi, con poche parole, nelle “Doppie Pagine di Anna Piaggi” edite su Vogue dal 1988, Anna riusciva a descrivere i flussi della moda, dando spunti e lanciando trend che le stagioni successive rendevano dictact.
Oltre 60 cappelli a Palazzo Morando per la mostra “Hat-ology”, curata dal suo hat-designer e amico Stephen Jones.
Gli oltre 600 cappelli della collezione completa, davano ad Anna il “suo punto di Stabilità”, quello da cui partiva lo spunto per ideare l’intero outfit.
A esso, non gli si poteva dare una precisa collocazione storica, un tempo in cui quel qualcosa che indossava era andato di moda, con lei nasce il concetto di vintage, come un oggetto che diventa senza tempo, come qualcosa che non tramonterà mai.
Oggi il vintage ha una duplice valenza o, per meglio dire, origine.
Se da una parte “tutto” fa moda e il riciclo delle cose “vecchie” suona come estremamente creativo e divertente, dall’altra, scovare nei bauli della nonna è diventata una necessità, se si vuole apparire unici avendo limitate riserve economiche.
Sarà anche perchè prima il Made In Italy aveva più rispetto per se stesso e per prima Anna ne fu promotrice e tifosa. Prada, Missoni, Versace, sono solo alcuni dei nomi cui lei faceva da amica e consulente, rispettata e non temuta, perchè la moda non è una dittatura.
Il co-protagonista non poteva che essere il più difficile degli accessori, il più caratterizzante degli orpelli, il cappello, come contenitore della sua anima.