lunedì 19 gennaio 2015

C'ERA UNA VOLTA LA CARTA STAMPATA

C’era una volta quell’emozione di recarsi al mattino dall’ edicolante di fiducia, con il cappuccino nel bicchiere di carta fumante e comperare uno, due, tre riviste curiosi di leggere l’ultimo articolo di Anna Piaggi.
C’era una volta il gesto di strappare con foga il celofan di Vogue e sentirne l’odore, toccarne le pagine patinate,   assaporare la moda con tutti i suoi gusti, dolce, acida o caramellosa, guardare e ammirare come tra opera d’arte e comunicazione pubblicitaria fotografi come David Lachapelle avessero dato un’anima agli abiti degli stilisti più prestigiosi.
C’ era una volta la punteggiatura. I periodi erano sapientemente scanditi da virgole e punti e i punti esclamativi erano ben dosati e posizionati in modo opportuno.
La Moda se avesse un segno zodiacale sarebbe sicuramente gemelli, ambivalente e con tante sfaccettature.
Chiunque può parlare di lei, delle sue tendenze “spicciole”, su quanto quest’inverno si porti l’animalier , il cammello, il nero, il pizzo e un’infinità di altri vaghi riferimenti diventati prelibate leccornie di tutte le “esperte” bloggers del web. Solo, però, dei veri professionisti esperti, che hanno studiato e che per anni hanno dovuto misurare e nascondersi dietro articoli informativi che bandivano la presenza di qualsivoglia considerazione personale
la moda è anche altro. La si può vedere come l’immagine della società, delle sue evoluzioni, delle sue contraddizioni, espressione di condizioni culturali lontane dalle mere descrizioni di ciò che le modelle indossavano in passerella.
Certo è che negli ultimi tempi sia il mondo creativo che editoriale, accorgendosi della forza mediatica assunta da queste giovani figure, sta facendo notevoli ed evidenti opere di adulazione, invitandole alle sfilate o stendendo interviste nelle pagine della stampa internazionale.
Usare internet come nuovo veicolo di informazione, si,ma con moderazione, sfruttando la sua efficace velocità di comunicare e di trovare “tutto”, ma di filtrare questo “tutto” confrontandolo sempre con informazioni “DOC”.
Pertanto, invece di provare l’emozione di sfogliare le pagine del proprio giornale preferito, ci si deve abituare alla sensazione unica che dona il touch screen quando lo si sfoglia con le dita, la trepidazione e il leggero senso di ansia per la batteria che sta finendo, mentre però si continua a leggere le perle di saggezza di giornaliste che scrivono di quello che hanno studiato, seguito, sviscerato e vissuto per anni; acquisendo l’occhio e la mente di colui che conosce ciò di cui parla.
“The show must go on” delle riviste patinate, dell’edicolante sotto casa, dell’odore di colla misto a carta e alle nobilitazioni tipografiche, che devono esistere e recuperare un pò della loro lacerata egemonia.

LA MODA DALL'ANNO ZERO

Il cielo sopra il 2000 è un cielo senza tempo, senza le stesse regole e obbiettivi che prima dettavano il modus vivendi del mondo occidentale.
Ad un certo punto, per ragioni politico-sociali, la realtà non aveva più la stessa forma, non era vista più con gli stessi occhi.
Scansata ogni superstizione sull’anno zero e sull’imminente apocalisse, tutto è pervaso da una nube di incertezza, la meritocrazia nel lavoro e anche nel privato non seguiva più le stesse regole, che fino ad allora avevano portato l’uomo a vivere guardando a determinati obbiettivi.
La donna non è più permeata di quell’aura di innocenza e velata sottomissione, bensì si ritrova per la prima volta a combattere nelle trincee dell’Afghanistan con tuta mimetica obbligatoriamente unisex, definitiva conferma della condizione paritaria dei due sessi.
L’uomo dall’altra parte mostra sempre più interesse per la sua immagine. Creme antirughe, restyling di bellezza e passerelle sempre più importanti a cui gli stilisti dedicano finalmente una più meritata attenzione.
Così la moda, una delle principali portavoci dell’evoluzione sociale, ha reagito a questo momento di disequilibrio e incertezza, con più discrezione, ma sempre in rappresentanza dei moti culturali di quei tempi.
La donna non era più solo una statua passiva, ma la protagonista lavorativamente contribuente di se stessa, condizione sempre meno scelta e sempre più necessaria.
Quindi abiti sempre più pratici, “malneabili”, che si adeguavano a vivere lo scandirsi delle varie situazioni quotidiane.
E’ il momento delle maxibags, che possono contenere dalle scarpe tacco 13 per il momento “cocktail”, alle ballerine, per sgambettare nelle affollate metropoli/tane, tra cellulari, poi diventati Iphone, Ipad, Android e inevitabili caricabatterie.
L’accessorio diventa il protagonista, il non plus ultra capace di dar carattere anche al più banale dei tubini. La cintura in vita vive da allora la sua totale egemonia per sottolineare silhouette altrimenti nascoste da larghi magliettoni, i veri successori delle cortissime
t-shirt anno ’90, che lasciavano scandalosamente a vista gli ombelichi.
Il patinato mondo della moda vedeva l’ascesa nelle principali maison francesi delle nuove leve inglesi. John Galliano per Givenchy e poi Dior, Alexander McQueen, il suo successore, Stella McCartney per Chloè, che, accanto all’affermazione dei belga “sei di Anversa” e al ritrovato splendore dell’italiana Gucci sotto la direzione dell’americano Tom Ford, anche per Yves Saint Laurent, confermarono la moda come un fenomeno sempre più internazionale.
Quest’ultimo designer, non solo ridiede vita alle suddette maison, ma confermò una certa immagine femminina, trasgressiva, sexy ma con estrema classe ed eleganza, visibile in passerella come nelle provocatrici campagne pubblicitarie.
Anche le mise che lui stesso indossava incisero sulla moda maschile e sulla nuova identità che l’uomo stava confermando, forse con meno androginia, ma sicuramente con un sempre più spiccato senso dello stile.
Non è un caso infine, che si siano usati verbi al passato. Oggi il tempo corre in fretta e quello che avviene oggi è in un istante, un avvenimento di ieri.