Il cielo sopra il 2000 è un cielo senza tempo, senza le stesse regole e obbiettivi che prima dettavano il modus vivendi del mondo occidentale.
Ad un certo punto, per ragioni politico-sociali, la realtà non aveva più la stessa forma, non era vista più con gli stessi occhi.
Scansata ogni superstizione sull’anno zero e sull’imminente apocalisse, tutto è pervaso da una nube di incertezza, la meritocrazia nel lavoro e anche nel privato non seguiva più le stesse regole, che fino ad allora avevano portato l’uomo a vivere guardando a determinati obbiettivi.
La donna non è più permeata di quell’aura di innocenza e velata sottomissione, bensì si ritrova per la prima volta a combattere nelle trincee dell’Afghanistan con tuta mimetica obbligatoriamente unisex, definitiva conferma della condizione paritaria dei due sessi.
L’uomo dall’altra parte mostra sempre più interesse per la sua immagine. Creme antirughe, restyling di bellezza e passerelle sempre più importanti a cui gli stilisti dedicano finalmente una più meritata attenzione.
Così la moda, una delle principali portavoci dell’evoluzione sociale, ha reagito a questo momento di disequilibrio e incertezza, con più discrezione, ma sempre in rappresentanza dei moti culturali di quei tempi.
La donna non era più solo una statua passiva, ma la protagonista lavorativamente contribuente di se stessa, condizione sempre meno scelta e sempre più necessaria.
Quindi abiti sempre più pratici, “malneabili”, che si adeguavano a vivere lo scandirsi delle varie situazioni quotidiane.
E’ il momento delle maxibags, che possono contenere dalle scarpe tacco 13 per il momento “cocktail”, alle ballerine, per sgambettare nelle affollate metropoli/tane, tra cellulari, poi diventati Iphone, Ipad, Android e inevitabili caricabatterie.
L’accessorio diventa il protagonista, il non plus ultra capace di dar carattere anche al più banale dei tubini. La cintura in vita vive da allora la sua totale egemonia per sottolineare silhouette altrimenti nascoste da larghi magliettoni, i veri successori delle cortissime
t-shirt anno ’90, che lasciavano scandalosamente a vista gli ombelichi.
Il patinato mondo della moda vedeva l’ascesa nelle principali maison francesi delle nuove leve inglesi. John Galliano per Givenchy e poi Dior, Alexander McQueen, il suo successore, Stella McCartney per Chloè, che, accanto all’affermazione dei belga “sei di Anversa” e al ritrovato splendore dell’italiana Gucci sotto la direzione dell’americano Tom Ford, anche per Yves Saint Laurent, confermarono la moda come un fenomeno sempre più internazionale.
Quest’ultimo designer, non solo ridiede vita alle suddette maison, ma confermò una certa immagine femminina, trasgressiva, sexy ma con estrema classe ed eleganza, visibile in passerella come nelle provocatrici campagne pubblicitarie.
Anche le mise che lui stesso indossava incisero sulla moda maschile e sulla nuova identità che l’uomo stava confermando, forse con meno androginia, ma sicuramente con un sempre più spiccato senso dello stile.
Non è un caso infine, che si siano usati verbi al passato. Oggi il tempo corre in fretta e quello che avviene oggi è in un istante, un avvenimento di ieri.
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