venerdì 18 novembre 2016
La moda è la nostra terra
Lei sta lì ad osservare l’andamento evolutivo e non, della società.
Non giudica, non si impone, non vuole essere manifesto di alcuna rivoluzione.
Strumento da sempre di classificazione di culture, ceti sociali o personalità differenti, muove le sue vele come un caicco in balia di chi magistralmente la dirige o la trascina , o altrimenti la trasporta malamente alla deriva.
La Moda. Lei, a cui le si rivolgono considerazioni ambigue, debilitando la sua superficiale funzione primaria, o al contrario innalzandola, non solo come opera d’arte, ma anche come espressione dei moti sociali, che l’essere umano rivela nella creatività come nel costume, spingendo se stesso a volte a diventarne schiavo.
La Terra è il nuovo mondo da scoprire, tanto contraddittoria, tanto mutevole, tanto ciò nonostante, ancora piena di risorse.
La Moda, infatti, ha insegnato che le materie prime della natura, anche se sempre più esclusive, siano uno strumento in continua evoluzione; tesori che prima avevamo dimenticato, infatuandoci di quello che la scienza oggi è in grado di fornirci.
In alcuni casi la Moda, risultò essere nostalgica, rievocando volumi del passato, talora gli anni ’60, talora gli ’80 e così via.
Ma in altri, invece, fu espressione aulica di una materializzazione di un’idea, di un ragionamento, che rendeva un semplice eskimo, la rappresentazione della condizione umana e sociale, anche se di fatto costituito solo da tessuto e bottoni.
Oggi non si deve andare troppo lontano per riuscire a meravigliarsi, ad emozionarsi. In fondo ancora adesso un baco da seta tiene ferme le briglia di un commercio ancora importante e fruttifero.
Si è vero, oggi la società pretende dalla Moda la quantità, la velocità e la differenziazione del prodotto e quindi della creatività, del pensiero primo, che muove e crea l’appetibilità delle diverse espressioni creative.
Se ci si pensa, però, l’integrazione assoluta tra il mondo occidentale con quello orientale, ha creato un mondo nuovo, una situazione che solo trenta anni fa non si poteva neanche immaginare.
L’attuale condizione globale potrebbe essere l’universo che tanto si ricerca al di là della nostra atmosfera. Se solo tutti accettassero questa nuova condizione umana, la si potrebbe trasformare in una risorsa di ineguagliabile ricchezza e bellezza.
L’arte sarebbe figlia di interscambi culturali che la rinnoverebbero, che le farebbero dimenticare il suo fine mercenario, la Moda non sarebbe una mera espressione di un’ indifferente superficiale pensiero, travolto dal bisogno di omologarsi, di essere inquadrato, di rappresentare qualcosa o qualcuno che inevitabilmente risulterebbe abitudinario.
Il nostro mondo è cambiato, in peggio, ma anche in meglio, l’interscambio di informazioni ci permette di allargare la mente, di poter ampliare quello che siamo con quello che sono gli altri.
C’è ancora tanto da scoprire in questo piccolo pianeta, basta solo umilmente rendersi conto che la vita, come la moda sarebbe oggi inutilmente bella se rimanesse chiusa dentro la sua noce.
domenica 4 settembre 2016
L'ARTE CAMALEONTICA DELLA MODA
L’arte è un concetto, anzi forse una peculiarità dell’uomo che va oltre la
logica, il business che ormai invece prevale su qualsiasi forma creativa. La
musica, la pittura, la moda hanno sempre più modificato il loro obbiettivo e la
vera motivazione che prima portava tutto il mondo creativo a un quasi
desiderio maniacale di comunicare attraverso l’immagine, dei concetti “altri” ,
al di sopra dalla mera manifestazione dell’oggetto finale, di qualsiasi natura
esso sia.
Un percorso di ricerca, di dire al mondo il proprio punto di vista e cercare
adepti, o forse semplicemente esternare il bisogno di far uscire fuori un
qualsivoglia pensiero.
Cronologicamente il cambiamento fa capolino con la necessità di fare
business, quando i creativi diventarono schiavi di dogmi popolari,che
rispecchiavano ciò che il mondo massificato si aspettava dall’arte in tutte le
sue espressioni.
La moda dal 2008 in poi non fu più una forma d’arte, ma seguiva i moti
ombrosi di una società superficiale. Ad un certo punto il mondo non voleva
più vestirsi di un “messaggio”, richiedeva la velocità, l’immediatezza di
trovare, comprare ciò che voleva senza soffermarsi su quello che quel
qualcosa potesse avere un significato altro, oltre ciò che banalmente appare.
La moda diventò apparenza, un segnale di appartenenza ad una, spesso,
fittizia, classe sociale, che richiede la riconoscibilità, il brand, sempre più
presente, cosicchè la vecchia guardia pian piano dovette sottostare alle
necessità dei nuovi ricchi, il sogno degli stilisti di comunicare la loro
concettualità dovette lasciare il posto alle esigenze della nuova società e così è
il presente.
Tutto da anni è cambiato, il giornalismo, la creatività stilistica,l’arte, adesso
hanno ceduto il posto all’economia, a quello che la gente vuole comprare, o
che vuole leggere sul web, semplice, che sia più immediato e alla portata di
tutti. Gli stilisti guardano ai bisogni dei paesi “B.R.I.C”(Brasile, Russia, India e
China) che muovono l’economia mondiale.
Ormai lontana la situazione in cui la moda detta legge, essa diventa schiava
del pubblico pagante, come la musica, l’arte e tutto ciò che offre il mondo
della “futile” rappresentazione.
Dimenticate ormai le genialità dei “Sei di Anversa” (Martin Margiela, Ann
Demeulemeester, Dries Van Noten, Walter Van Beirendonck, Josephus
Thimister e Dirk Bikkembergs) figli della severissima Accademia Reale delle
Belle Arti di Anversa, vicini agli stilisti giapponesi come Rei Kawakubo e Yohji
Yamamoto.
Oggi “per i più” e per chi non è del campo, sono sconosciuti e lontani dal
mondo “cool” del “vestire bene”.
C’è poco da meravigliarsi di questo, perchè i “compagni” del mondo dell’arte o
della musica vivono la stessa triste evoluzione o involuzione.
Quello che è vendibile ha sostituito ciò che era innovazione, dal quale si
estraeva il concetto e tutto il mondo intorno ne costruiva altrettante situazioni
innovative. La fotografia, per la moda, era il canale dove tutto questo
fermento trovava un modo di comunicare e si poteva studiare ogni creazione
traendone i più profondi concetti “dell’idea”.
La speranza non soccombe ancora, però, ne abbiamo la prova dal Made In
Italy, delle nuove generazioni, magari con modalità diverse, che riescono a
dar voce al loro pensiero.
Su questo Vogue resta un magazine attento e sensibile e con vari concorsi
cerca di dar voce a tutti quelli che vogliono dir qualcosa che sia la via di mezzo
tra concetto e utilità.
La moda in questi anni ha vissuto lo stesso percorso dei moti avvenuti
nell’arte ormai tempi addietro. Dushamp, Piero Manzoni e altri diedero
all’arte un’altra identità.
Diciamo che Caravaggio sta a Yves Saint Laurent, come Dushamp sta Philip
Plain?
Questo non è un manifesto che vuole nostalgicamente rivangare il passato,
ma ammette la trasformazione della creatività in una risoluzione
inevitabilmente più immediata e popolare.
domenica 19 giugno 2016
lunedì 23 maggio 2016
Michele Ciavarella: “la conoscenza” del giornalismo di Moda
Oggi è un giornalista che utilizza sia strumenti cartacei, sia multimediali, partendo dall’esordio avvenuto sul quotidiano “ Il Manifesto”. Un giovane studente che ha avuto come mentori e insegnanti giornalisti di alto calibro e dove si occupava di cultura e società.
Per puro caso si avvicinò alla moda, perseguendo la medesima linea precedente: affrontare un tema essendone preparati, studiando e informandosi su ogni possibile sfaccettatura. Mondadori, Panorama e infine Rizzoli dove diventa Caporedattore di Amica.
Nel 2011 la sua scrittura si trasferisce anche sul web, fondando e dirigendo il portale femminile “Leiweb”, per Rcs. Da qui in poi l’operato giornalistico di MC passa al Corriere Della Sera, occupandosi sia di sezioni cartacee che online e aggiornando il suo blog “Undressed”, per il Corriere Della Sera.
Non c’è una preferenza per il giornalista tra le due modalità a livello di contenuti e informazione sui fatti, se non che la scrittura online è legata oggi alle regole intrascendibili del SEO, ciononostante non si può, come oggi accade sul web, dimenticare la precisione e l’autorevolezza delle informazioni che il lettore va a carpire leggendo.
La caratteristica positiva della “nuova comunicazione” è l’immediatezza, poter scrivere dopo venti minuti di una o dell’altra sfilata, ovviamente la condizione deve essere sempre quella di sapere cosa scrivere.
Non si può rimpiangere la carta stampata, come non si può ” pretendere di andare in Cina con una carovana di muli”. E’ vero, però che il linguaggio multimediale, a volte, non da il tempo alla riflessione e che quindi per gli editori non ha più influenza la preparazione e la professionalità degli scrittori, dalla grammatica ai contenuti.
Sulla scrittura il mezzo non deve influenzare le modalità e i contenuti, semmai la forma, ma essa comunque non deve scendere a livelli di non curanza solo perchè deve essere immediata.
Se si dovessero annoverare i cinque avvenimenti della moda meritevoli di farli diventare storia, potrebbero sicuramente essere: la rivoluzione Borghese di Coco Chanel tra la prima e la seconda guerra mondiale, quella invece anti-Borghese di Yves Saint Laurent dal 1958, l’arrivo degli stilisti giapponesi negli anni ’80, Rey Kawakubo, Issey Miyake e Yoshji Yamamoto, il debutto nel 1988 di Miuccia Prada che apportò alla moda la necessità della ricerca del senso e dell’iconoclastia e infine, nel 1996 l’irruzione dei visionari John Galliano da Dior e Alexander McQueen da Ghivenchy, che cambiarono totalmente la prospettiva della moda.
Della moda del XXI secolo, si può dire che la sua identificazione è ancora indecifrabile, a causa del gigantismo del mercato, dell’avanzarsi del “fast fashion” causato dall’attuale mortificazione della moda come “arte” che soccombe alla moda come “prodotto di lusso”.
lunedì 7 marzo 2016
NEY YORK ; LA VETRINA DELL'EUROPA
The Big Apple...l’ombelico del mondo, il centro nevralgico dove ogni espressione, anche la più estrema ha la possibilità di essere manifestata.
Sede, dai mitici anni ’80, di iniziatici moti di pensiero, artistici, scientifici che in una parola possono definirsi “innovativi”.
La storia vuole che, però, la moda nasca sotto un altro cielo. Quello europeo, il vecchio continente che diede origine al tutto.
Figurativamente parlando il rapporto tra New York e l’Europa, cui limitazione geografica racchiude l’Italia, La Francia e diversamente la Spagna, lo si può designare come lo spettatore e il grande attore, che mette in scena la sua parte e che inevitabilmente viene criticato, osservato e analizzato da un osservatore attento e desideroso di carpire l’essenza, la cultura e “l’oltre” che dopo uno spettacolo ci si trova a ricercare.
Negli anni la Francia e L’Italia sono stati interpreti eccelsi, fautori di opere passate alla storia e certamente emulate da chi osservava.
La grande mela però, con la sua voglia di emergere e il suo stacanovismo, oltre a osservare assorbiva, prendeva appunti per poi creare il suo film, apportando perfezione e professionalità, che la più artistica Europa faceva fatica a svelare dietro il suo anarchismo e la sua impulsività.
Negli anni ’90 il boom della cinematografia americana. Da Pretty Woman a successivamente Sex And The City, come anche American Gigolo, tutti mettevano in mostra, innalzando gli stilisti europei, che senza questo forse oggi non sarebbero così osannati.
Valentino, Giorgio Armani, Versace e in tempi odierni molti altri diventarono da attori a pubblico parlante di tutto un mondo che cambiava, che si globalizzava, che voleva sempre di più soddisfare l’immagine, la bellezza, la possibilità di possedere qualcosa di esclusivo.
Grazie New York perchè hai apportato alla vecchia Europa, la concretezza e la capacità di azione, creando un connubbio potentissimo tra eclettismo e praticità, evidenti nella visione odierna del costume sociale.
Anche se adesso può sembrare che la moda stia soffrendo, un pò per l’incentivarsi del movimento orientale, un pò per l’affermazione sempre più evidente del pronto moda e del “vestire low Cost”, resta evidente che chi detta legge su tutte le tendenze e le “opere” in passerella, sia ancora sempre e comunque, la fantasia degli immortali latini.
E’ vero, le case di moda più illustri sono oggi dirette da altri nomi, che possono essere stati fino a poco prima dei semplici “addetti ai lavori”, ma hanno carpito, amato e studiato cosa significa stile, dai più grandi e dimostrano statisticamente, di riuscire a perpetuare la grandezza dei loro maestri.
Si deve a New York, a Vogue America, al cinema americano la continua divulgazione, di questa eleganza innata che da sempre ha contraddistinto la nostra vecchia Europa.
Quindi con gratitudine la moda dovrebbe guardare questa metropoli, tanto misteriosa e a volte contraddittoria, quanto stimolante e permeata di ottimismo.
Lydia Cavaliere
Sede, dai mitici anni ’80, di iniziatici moti di pensiero, artistici, scientifici che in una parola possono definirsi “innovativi”.
La storia vuole che, però, la moda nasca sotto un altro cielo. Quello europeo, il vecchio continente che diede origine al tutto.
Figurativamente parlando il rapporto tra New York e l’Europa, cui limitazione geografica racchiude l’Italia, La Francia e diversamente la Spagna, lo si può designare come lo spettatore e il grande attore, che mette in scena la sua parte e che inevitabilmente viene criticato, osservato e analizzato da un osservatore attento e desideroso di carpire l’essenza, la cultura e “l’oltre” che dopo uno spettacolo ci si trova a ricercare.
Negli anni la Francia e L’Italia sono stati interpreti eccelsi, fautori di opere passate alla storia e certamente emulate da chi osservava.
La grande mela però, con la sua voglia di emergere e il suo stacanovismo, oltre a osservare assorbiva, prendeva appunti per poi creare il suo film, apportando perfezione e professionalità, che la più artistica Europa faceva fatica a svelare dietro il suo anarchismo e la sua impulsività.
Negli anni ’90 il boom della cinematografia americana. Da Pretty Woman a successivamente Sex And The City, come anche American Gigolo, tutti mettevano in mostra, innalzando gli stilisti europei, che senza questo forse oggi non sarebbero così osannati.
Valentino, Giorgio Armani, Versace e in tempi odierni molti altri diventarono da attori a pubblico parlante di tutto un mondo che cambiava, che si globalizzava, che voleva sempre di più soddisfare l’immagine, la bellezza, la possibilità di possedere qualcosa di esclusivo.
Grazie New York perchè hai apportato alla vecchia Europa, la concretezza e la capacità di azione, creando un connubbio potentissimo tra eclettismo e praticità, evidenti nella visione odierna del costume sociale.
Anche se adesso può sembrare che la moda stia soffrendo, un pò per l’incentivarsi del movimento orientale, un pò per l’affermazione sempre più evidente del pronto moda e del “vestire low Cost”, resta evidente che chi detta legge su tutte le tendenze e le “opere” in passerella, sia ancora sempre e comunque, la fantasia degli immortali latini.
E’ vero, le case di moda più illustri sono oggi dirette da altri nomi, che possono essere stati fino a poco prima dei semplici “addetti ai lavori”, ma hanno carpito, amato e studiato cosa significa stile, dai più grandi e dimostrano statisticamente, di riuscire a perpetuare la grandezza dei loro maestri.
Si deve a New York, a Vogue America, al cinema americano la continua divulgazione, di questa eleganza innata che da sempre ha contraddistinto la nostra vecchia Europa.
Quindi con gratitudine la moda dovrebbe guardare questa metropoli, tanto misteriosa e a volte contraddittoria, quanto stimolante e permeata di ottimismo.
Lydia Cavaliere
venerdì 5 febbraio 2016
BIO VUOL DIRE VITA
Bio come significato Vita.
La Moda negli ultimi anni e forse anche precedentemente, ha cercato di modellare, di rendere il corpo umano a sua immagine e come meglio potesse esprimere la “bellezza” del suo linguaggio.
Purtroppo per lei, però, la natura biologica dell’essere umano non si può stravolgere.
Due braccia, due gambe, un peso specifico e delle proporzioni specifiche per il sesso femminile e maschile.
per quanto oggi si voglia rendere questa diversità il più possibile neutrale, non si può, poichè da sempre essa dipende da regole che vanno in conflitto con molti dei tentativi odierni di rivoluzionare tali leggi biologiche.
Spesso queste regole, sono state inconciliabili con il tentativo di molti creativi di stravolgerle, perchè risultate essere delle forzature per la normale gestione quotidiana dell’abbigliamento; una costante antropologica cui l’uomo non potrà mai farne a meno, ma che dall’altra parte, ormai, ne prende sempre più atto e potere, ed è per questo che sempre di più, essa è passiva ai moti della società e non riesce a soggiogarla.
Il genere Uomo, da relativamente pochi anni ha scoperto che l’abito può conformare una sua specifica identità, tanto che oggi è evidente al mondo quanto anche la moda Uomo vive le sue evoluzioni, i suoi trend e i suoi moti in base a un sempre più attento studio delle sue necessità e attitudini.
Miuccia Prada da qualche anno, ha imposto agli uomini, un’andatura più incerta, dovuta ai tacchi e alle suole sempre più alte del suo Uomo, sempre virile, ma desideroso di comunicare il suo essere sensibile, anche attraverso il suo abito.
In questo periodo storico di libertà espressiva della propria natura, ci si può avvicinare, sia uomo che donna, a un periodo storico o a un altro, identificandosi assolutamente o relativamente a un gruppo; che sia nerd, hippie, punk o semplicemente ordinari, gli uomini hanno pieno potere oggi della moda come strumento per identificarsi nel “tumulto” e molteplicità di moti di espressione che fanno parte della natura biologica della civiltà del ventunesimo secolo.
“Bio” anche come ecosostenibilità, che porta avanti in questo autunno/inverno 2015, soprattutto Stefano Pilati, direttore creativo di Ermenegildo Zegna, che per il suo uomo sceglie materiali e fibre naturali, introducendoli nel guardaroba dell’uomo contemporaneo.
Non so se la presenza in passerella, di pellicce e materiali animali si possa definire bio...sicuramente opposta a molti moti di pensiero che vedono la natura animale, intoccabile per fini “coprenti”, se ci si ferma, però, a pensare che l’uomo fin dalla preistoria si serve della natura, delle pelli animali, ad esempio, per coprirsi si possono per un momento dimenticare le ideologie animaliste delle associazioni odierne, forse non si criticherebbe la sfilata di Dolce & Gabbana che vede l’uso di pellicce e affini, come protagonisti del guardaroba dell’uomo contemporaneo.
La Moda negli ultimi anni e forse anche precedentemente, ha cercato di modellare, di rendere il corpo umano a sua immagine e come meglio potesse esprimere la “bellezza” del suo linguaggio.
Purtroppo per lei, però, la natura biologica dell’essere umano non si può stravolgere.
Due braccia, due gambe, un peso specifico e delle proporzioni specifiche per il sesso femminile e maschile.
per quanto oggi si voglia rendere questa diversità il più possibile neutrale, non si può, poichè da sempre essa dipende da regole che vanno in conflitto con molti dei tentativi odierni di rivoluzionare tali leggi biologiche.
Spesso queste regole, sono state inconciliabili con il tentativo di molti creativi di stravolgerle, perchè risultate essere delle forzature per la normale gestione quotidiana dell’abbigliamento; una costante antropologica cui l’uomo non potrà mai farne a meno, ma che dall’altra parte, ormai, ne prende sempre più atto e potere, ed è per questo che sempre di più, essa è passiva ai moti della società e non riesce a soggiogarla.
Il genere Uomo, da relativamente pochi anni ha scoperto che l’abito può conformare una sua specifica identità, tanto che oggi è evidente al mondo quanto anche la moda Uomo vive le sue evoluzioni, i suoi trend e i suoi moti in base a un sempre più attento studio delle sue necessità e attitudini.
Miuccia Prada da qualche anno, ha imposto agli uomini, un’andatura più incerta, dovuta ai tacchi e alle suole sempre più alte del suo Uomo, sempre virile, ma desideroso di comunicare il suo essere sensibile, anche attraverso il suo abito.
In questo periodo storico di libertà espressiva della propria natura, ci si può avvicinare, sia uomo che donna, a un periodo storico o a un altro, identificandosi assolutamente o relativamente a un gruppo; che sia nerd, hippie, punk o semplicemente ordinari, gli uomini hanno pieno potere oggi della moda come strumento per identificarsi nel “tumulto” e molteplicità di moti di espressione che fanno parte della natura biologica della civiltà del ventunesimo secolo.
“Bio” anche come ecosostenibilità, che porta avanti in questo autunno/inverno 2015, soprattutto Stefano Pilati, direttore creativo di Ermenegildo Zegna, che per il suo uomo sceglie materiali e fibre naturali, introducendoli nel guardaroba dell’uomo contemporaneo.
Non so se la presenza in passerella, di pellicce e materiali animali si possa definire bio...sicuramente opposta a molti moti di pensiero che vedono la natura animale, intoccabile per fini “coprenti”, se ci si ferma, però, a pensare che l’uomo fin dalla preistoria si serve della natura, delle pelli animali, ad esempio, per coprirsi si possono per un momento dimenticare le ideologie animaliste delle associazioni odierne, forse non si criticherebbe la sfilata di Dolce & Gabbana che vede l’uso di pellicce e affini, come protagonisti del guardaroba dell’uomo contemporaneo.
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