venerdì 18 novembre 2016
La moda è la nostra terra
Lei sta lì ad osservare l’andamento evolutivo e non, della società.
Non giudica, non si impone, non vuole essere manifesto di alcuna rivoluzione.
Strumento da sempre di classificazione di culture, ceti sociali o personalità differenti, muove le sue vele come un caicco in balia di chi magistralmente la dirige o la trascina , o altrimenti la trasporta malamente alla deriva.
La Moda. Lei, a cui le si rivolgono considerazioni ambigue, debilitando la sua superficiale funzione primaria, o al contrario innalzandola, non solo come opera d’arte, ma anche come espressione dei moti sociali, che l’essere umano rivela nella creatività come nel costume, spingendo se stesso a volte a diventarne schiavo.
La Terra è il nuovo mondo da scoprire, tanto contraddittoria, tanto mutevole, tanto ciò nonostante, ancora piena di risorse.
La Moda, infatti, ha insegnato che le materie prime della natura, anche se sempre più esclusive, siano uno strumento in continua evoluzione; tesori che prima avevamo dimenticato, infatuandoci di quello che la scienza oggi è in grado di fornirci.
In alcuni casi la Moda, risultò essere nostalgica, rievocando volumi del passato, talora gli anni ’60, talora gli ’80 e così via.
Ma in altri, invece, fu espressione aulica di una materializzazione di un’idea, di un ragionamento, che rendeva un semplice eskimo, la rappresentazione della condizione umana e sociale, anche se di fatto costituito solo da tessuto e bottoni.
Oggi non si deve andare troppo lontano per riuscire a meravigliarsi, ad emozionarsi. In fondo ancora adesso un baco da seta tiene ferme le briglia di un commercio ancora importante e fruttifero.
Si è vero, oggi la società pretende dalla Moda la quantità, la velocità e la differenziazione del prodotto e quindi della creatività, del pensiero primo, che muove e crea l’appetibilità delle diverse espressioni creative.
Se ci si pensa, però, l’integrazione assoluta tra il mondo occidentale con quello orientale, ha creato un mondo nuovo, una situazione che solo trenta anni fa non si poteva neanche immaginare.
L’attuale condizione globale potrebbe essere l’universo che tanto si ricerca al di là della nostra atmosfera. Se solo tutti accettassero questa nuova condizione umana, la si potrebbe trasformare in una risorsa di ineguagliabile ricchezza e bellezza.
L’arte sarebbe figlia di interscambi culturali che la rinnoverebbero, che le farebbero dimenticare il suo fine mercenario, la Moda non sarebbe una mera espressione di un’ indifferente superficiale pensiero, travolto dal bisogno di omologarsi, di essere inquadrato, di rappresentare qualcosa o qualcuno che inevitabilmente risulterebbe abitudinario.
Il nostro mondo è cambiato, in peggio, ma anche in meglio, l’interscambio di informazioni ci permette di allargare la mente, di poter ampliare quello che siamo con quello che sono gli altri.
C’è ancora tanto da scoprire in questo piccolo pianeta, basta solo umilmente rendersi conto che la vita, come la moda sarebbe oggi inutilmente bella se rimanesse chiusa dentro la sua noce.
domenica 4 settembre 2016
L'ARTE CAMALEONTICA DELLA MODA
L’arte è un concetto, anzi forse una peculiarità dell’uomo che va oltre la
logica, il business che ormai invece prevale su qualsiasi forma creativa. La
musica, la pittura, la moda hanno sempre più modificato il loro obbiettivo e la
vera motivazione che prima portava tutto il mondo creativo a un quasi
desiderio maniacale di comunicare attraverso l’immagine, dei concetti “altri” ,
al di sopra dalla mera manifestazione dell’oggetto finale, di qualsiasi natura
esso sia.
Un percorso di ricerca, di dire al mondo il proprio punto di vista e cercare
adepti, o forse semplicemente esternare il bisogno di far uscire fuori un
qualsivoglia pensiero.
Cronologicamente il cambiamento fa capolino con la necessità di fare
business, quando i creativi diventarono schiavi di dogmi popolari,che
rispecchiavano ciò che il mondo massificato si aspettava dall’arte in tutte le
sue espressioni.
La moda dal 2008 in poi non fu più una forma d’arte, ma seguiva i moti
ombrosi di una società superficiale. Ad un certo punto il mondo non voleva
più vestirsi di un “messaggio”, richiedeva la velocità, l’immediatezza di
trovare, comprare ciò che voleva senza soffermarsi su quello che quel
qualcosa potesse avere un significato altro, oltre ciò che banalmente appare.
La moda diventò apparenza, un segnale di appartenenza ad una, spesso,
fittizia, classe sociale, che richiede la riconoscibilità, il brand, sempre più
presente, cosicchè la vecchia guardia pian piano dovette sottostare alle
necessità dei nuovi ricchi, il sogno degli stilisti di comunicare la loro
concettualità dovette lasciare il posto alle esigenze della nuova società e così è
il presente.
Tutto da anni è cambiato, il giornalismo, la creatività stilistica,l’arte, adesso
hanno ceduto il posto all’economia, a quello che la gente vuole comprare, o
che vuole leggere sul web, semplice, che sia più immediato e alla portata di
tutti. Gli stilisti guardano ai bisogni dei paesi “B.R.I.C”(Brasile, Russia, India e
China) che muovono l’economia mondiale.
Ormai lontana la situazione in cui la moda detta legge, essa diventa schiava
del pubblico pagante, come la musica, l’arte e tutto ciò che offre il mondo
della “futile” rappresentazione.
Dimenticate ormai le genialità dei “Sei di Anversa” (Martin Margiela, Ann
Demeulemeester, Dries Van Noten, Walter Van Beirendonck, Josephus
Thimister e Dirk Bikkembergs) figli della severissima Accademia Reale delle
Belle Arti di Anversa, vicini agli stilisti giapponesi come Rei Kawakubo e Yohji
Yamamoto.
Oggi “per i più” e per chi non è del campo, sono sconosciuti e lontani dal
mondo “cool” del “vestire bene”.
C’è poco da meravigliarsi di questo, perchè i “compagni” del mondo dell’arte o
della musica vivono la stessa triste evoluzione o involuzione.
Quello che è vendibile ha sostituito ciò che era innovazione, dal quale si
estraeva il concetto e tutto il mondo intorno ne costruiva altrettante situazioni
innovative. La fotografia, per la moda, era il canale dove tutto questo
fermento trovava un modo di comunicare e si poteva studiare ogni creazione
traendone i più profondi concetti “dell’idea”.
La speranza non soccombe ancora, però, ne abbiamo la prova dal Made In
Italy, delle nuove generazioni, magari con modalità diverse, che riescono a
dar voce al loro pensiero.
Su questo Vogue resta un magazine attento e sensibile e con vari concorsi
cerca di dar voce a tutti quelli che vogliono dir qualcosa che sia la via di mezzo
tra concetto e utilità.
La moda in questi anni ha vissuto lo stesso percorso dei moti avvenuti
nell’arte ormai tempi addietro. Dushamp, Piero Manzoni e altri diedero
all’arte un’altra identità.
Diciamo che Caravaggio sta a Yves Saint Laurent, come Dushamp sta Philip
Plain?
Questo non è un manifesto che vuole nostalgicamente rivangare il passato,
ma ammette la trasformazione della creatività in una risoluzione
inevitabilmente più immediata e popolare.
domenica 19 giugno 2016
lunedì 23 maggio 2016
Michele Ciavarella: “la conoscenza” del giornalismo di Moda
Oggi è un giornalista che utilizza sia strumenti cartacei, sia multimediali, partendo dall’esordio avvenuto sul quotidiano “ Il Manifesto”. Un giovane studente che ha avuto come mentori e insegnanti giornalisti di alto calibro e dove si occupava di cultura e società.
Per puro caso si avvicinò alla moda, perseguendo la medesima linea precedente: affrontare un tema essendone preparati, studiando e informandosi su ogni possibile sfaccettatura. Mondadori, Panorama e infine Rizzoli dove diventa Caporedattore di Amica.
Nel 2011 la sua scrittura si trasferisce anche sul web, fondando e dirigendo il portale femminile “Leiweb”, per Rcs. Da qui in poi l’operato giornalistico di MC passa al Corriere Della Sera, occupandosi sia di sezioni cartacee che online e aggiornando il suo blog “Undressed”, per il Corriere Della Sera.
Non c’è una preferenza per il giornalista tra le due modalità a livello di contenuti e informazione sui fatti, se non che la scrittura online è legata oggi alle regole intrascendibili del SEO, ciononostante non si può, come oggi accade sul web, dimenticare la precisione e l’autorevolezza delle informazioni che il lettore va a carpire leggendo.
La caratteristica positiva della “nuova comunicazione” è l’immediatezza, poter scrivere dopo venti minuti di una o dell’altra sfilata, ovviamente la condizione deve essere sempre quella di sapere cosa scrivere.
Non si può rimpiangere la carta stampata, come non si può ” pretendere di andare in Cina con una carovana di muli”. E’ vero, però che il linguaggio multimediale, a volte, non da il tempo alla riflessione e che quindi per gli editori non ha più influenza la preparazione e la professionalità degli scrittori, dalla grammatica ai contenuti.
Sulla scrittura il mezzo non deve influenzare le modalità e i contenuti, semmai la forma, ma essa comunque non deve scendere a livelli di non curanza solo perchè deve essere immediata.
Se si dovessero annoverare i cinque avvenimenti della moda meritevoli di farli diventare storia, potrebbero sicuramente essere: la rivoluzione Borghese di Coco Chanel tra la prima e la seconda guerra mondiale, quella invece anti-Borghese di Yves Saint Laurent dal 1958, l’arrivo degli stilisti giapponesi negli anni ’80, Rey Kawakubo, Issey Miyake e Yoshji Yamamoto, il debutto nel 1988 di Miuccia Prada che apportò alla moda la necessità della ricerca del senso e dell’iconoclastia e infine, nel 1996 l’irruzione dei visionari John Galliano da Dior e Alexander McQueen da Ghivenchy, che cambiarono totalmente la prospettiva della moda.
Della moda del XXI secolo, si può dire che la sua identificazione è ancora indecifrabile, a causa del gigantismo del mercato, dell’avanzarsi del “fast fashion” causato dall’attuale mortificazione della moda come “arte” che soccombe alla moda come “prodotto di lusso”.
lunedì 7 marzo 2016
NEY YORK ; LA VETRINA DELL'EUROPA
The Big Apple...l’ombelico del mondo, il centro nevralgico dove ogni espressione, anche la più estrema ha la possibilità di essere manifestata.
Sede, dai mitici anni ’80, di iniziatici moti di pensiero, artistici, scientifici che in una parola possono definirsi “innovativi”.
La storia vuole che, però, la moda nasca sotto un altro cielo. Quello europeo, il vecchio continente che diede origine al tutto.
Figurativamente parlando il rapporto tra New York e l’Europa, cui limitazione geografica racchiude l’Italia, La Francia e diversamente la Spagna, lo si può designare come lo spettatore e il grande attore, che mette in scena la sua parte e che inevitabilmente viene criticato, osservato e analizzato da un osservatore attento e desideroso di carpire l’essenza, la cultura e “l’oltre” che dopo uno spettacolo ci si trova a ricercare.
Negli anni la Francia e L’Italia sono stati interpreti eccelsi, fautori di opere passate alla storia e certamente emulate da chi osservava.
La grande mela però, con la sua voglia di emergere e il suo stacanovismo, oltre a osservare assorbiva, prendeva appunti per poi creare il suo film, apportando perfezione e professionalità, che la più artistica Europa faceva fatica a svelare dietro il suo anarchismo e la sua impulsività.
Negli anni ’90 il boom della cinematografia americana. Da Pretty Woman a successivamente Sex And The City, come anche American Gigolo, tutti mettevano in mostra, innalzando gli stilisti europei, che senza questo forse oggi non sarebbero così osannati.
Valentino, Giorgio Armani, Versace e in tempi odierni molti altri diventarono da attori a pubblico parlante di tutto un mondo che cambiava, che si globalizzava, che voleva sempre di più soddisfare l’immagine, la bellezza, la possibilità di possedere qualcosa di esclusivo.
Grazie New York perchè hai apportato alla vecchia Europa, la concretezza e la capacità di azione, creando un connubbio potentissimo tra eclettismo e praticità, evidenti nella visione odierna del costume sociale.
Anche se adesso può sembrare che la moda stia soffrendo, un pò per l’incentivarsi del movimento orientale, un pò per l’affermazione sempre più evidente del pronto moda e del “vestire low Cost”, resta evidente che chi detta legge su tutte le tendenze e le “opere” in passerella, sia ancora sempre e comunque, la fantasia degli immortali latini.
E’ vero, le case di moda più illustri sono oggi dirette da altri nomi, che possono essere stati fino a poco prima dei semplici “addetti ai lavori”, ma hanno carpito, amato e studiato cosa significa stile, dai più grandi e dimostrano statisticamente, di riuscire a perpetuare la grandezza dei loro maestri.
Si deve a New York, a Vogue America, al cinema americano la continua divulgazione, di questa eleganza innata che da sempre ha contraddistinto la nostra vecchia Europa.
Quindi con gratitudine la moda dovrebbe guardare questa metropoli, tanto misteriosa e a volte contraddittoria, quanto stimolante e permeata di ottimismo.
Lydia Cavaliere
Sede, dai mitici anni ’80, di iniziatici moti di pensiero, artistici, scientifici che in una parola possono definirsi “innovativi”.
La storia vuole che, però, la moda nasca sotto un altro cielo. Quello europeo, il vecchio continente che diede origine al tutto.
Figurativamente parlando il rapporto tra New York e l’Europa, cui limitazione geografica racchiude l’Italia, La Francia e diversamente la Spagna, lo si può designare come lo spettatore e il grande attore, che mette in scena la sua parte e che inevitabilmente viene criticato, osservato e analizzato da un osservatore attento e desideroso di carpire l’essenza, la cultura e “l’oltre” che dopo uno spettacolo ci si trova a ricercare.
Negli anni la Francia e L’Italia sono stati interpreti eccelsi, fautori di opere passate alla storia e certamente emulate da chi osservava.
La grande mela però, con la sua voglia di emergere e il suo stacanovismo, oltre a osservare assorbiva, prendeva appunti per poi creare il suo film, apportando perfezione e professionalità, che la più artistica Europa faceva fatica a svelare dietro il suo anarchismo e la sua impulsività.
Negli anni ’90 il boom della cinematografia americana. Da Pretty Woman a successivamente Sex And The City, come anche American Gigolo, tutti mettevano in mostra, innalzando gli stilisti europei, che senza questo forse oggi non sarebbero così osannati.
Valentino, Giorgio Armani, Versace e in tempi odierni molti altri diventarono da attori a pubblico parlante di tutto un mondo che cambiava, che si globalizzava, che voleva sempre di più soddisfare l’immagine, la bellezza, la possibilità di possedere qualcosa di esclusivo.
Grazie New York perchè hai apportato alla vecchia Europa, la concretezza e la capacità di azione, creando un connubbio potentissimo tra eclettismo e praticità, evidenti nella visione odierna del costume sociale.
Anche se adesso può sembrare che la moda stia soffrendo, un pò per l’incentivarsi del movimento orientale, un pò per l’affermazione sempre più evidente del pronto moda e del “vestire low Cost”, resta evidente che chi detta legge su tutte le tendenze e le “opere” in passerella, sia ancora sempre e comunque, la fantasia degli immortali latini.
E’ vero, le case di moda più illustri sono oggi dirette da altri nomi, che possono essere stati fino a poco prima dei semplici “addetti ai lavori”, ma hanno carpito, amato e studiato cosa significa stile, dai più grandi e dimostrano statisticamente, di riuscire a perpetuare la grandezza dei loro maestri.
Si deve a New York, a Vogue America, al cinema americano la continua divulgazione, di questa eleganza innata che da sempre ha contraddistinto la nostra vecchia Europa.
Quindi con gratitudine la moda dovrebbe guardare questa metropoli, tanto misteriosa e a volte contraddittoria, quanto stimolante e permeata di ottimismo.
Lydia Cavaliere
venerdì 5 febbraio 2016
BIO VUOL DIRE VITA
Bio come significato Vita.
La Moda negli ultimi anni e forse anche precedentemente, ha cercato di modellare, di rendere il corpo umano a sua immagine e come meglio potesse esprimere la “bellezza” del suo linguaggio.
Purtroppo per lei, però, la natura biologica dell’essere umano non si può stravolgere.
Due braccia, due gambe, un peso specifico e delle proporzioni specifiche per il sesso femminile e maschile.
per quanto oggi si voglia rendere questa diversità il più possibile neutrale, non si può, poichè da sempre essa dipende da regole che vanno in conflitto con molti dei tentativi odierni di rivoluzionare tali leggi biologiche.
Spesso queste regole, sono state inconciliabili con il tentativo di molti creativi di stravolgerle, perchè risultate essere delle forzature per la normale gestione quotidiana dell’abbigliamento; una costante antropologica cui l’uomo non potrà mai farne a meno, ma che dall’altra parte, ormai, ne prende sempre più atto e potere, ed è per questo che sempre di più, essa è passiva ai moti della società e non riesce a soggiogarla.
Il genere Uomo, da relativamente pochi anni ha scoperto che l’abito può conformare una sua specifica identità, tanto che oggi è evidente al mondo quanto anche la moda Uomo vive le sue evoluzioni, i suoi trend e i suoi moti in base a un sempre più attento studio delle sue necessità e attitudini.
Miuccia Prada da qualche anno, ha imposto agli uomini, un’andatura più incerta, dovuta ai tacchi e alle suole sempre più alte del suo Uomo, sempre virile, ma desideroso di comunicare il suo essere sensibile, anche attraverso il suo abito.
In questo periodo storico di libertà espressiva della propria natura, ci si può avvicinare, sia uomo che donna, a un periodo storico o a un altro, identificandosi assolutamente o relativamente a un gruppo; che sia nerd, hippie, punk o semplicemente ordinari, gli uomini hanno pieno potere oggi della moda come strumento per identificarsi nel “tumulto” e molteplicità di moti di espressione che fanno parte della natura biologica della civiltà del ventunesimo secolo.
“Bio” anche come ecosostenibilità, che porta avanti in questo autunno/inverno 2015, soprattutto Stefano Pilati, direttore creativo di Ermenegildo Zegna, che per il suo uomo sceglie materiali e fibre naturali, introducendoli nel guardaroba dell’uomo contemporaneo.
Non so se la presenza in passerella, di pellicce e materiali animali si possa definire bio...sicuramente opposta a molti moti di pensiero che vedono la natura animale, intoccabile per fini “coprenti”, se ci si ferma, però, a pensare che l’uomo fin dalla preistoria si serve della natura, delle pelli animali, ad esempio, per coprirsi si possono per un momento dimenticare le ideologie animaliste delle associazioni odierne, forse non si criticherebbe la sfilata di Dolce & Gabbana che vede l’uso di pellicce e affini, come protagonisti del guardaroba dell’uomo contemporaneo.
La Moda negli ultimi anni e forse anche precedentemente, ha cercato di modellare, di rendere il corpo umano a sua immagine e come meglio potesse esprimere la “bellezza” del suo linguaggio.
Purtroppo per lei, però, la natura biologica dell’essere umano non si può stravolgere.
Due braccia, due gambe, un peso specifico e delle proporzioni specifiche per il sesso femminile e maschile.
per quanto oggi si voglia rendere questa diversità il più possibile neutrale, non si può, poichè da sempre essa dipende da regole che vanno in conflitto con molti dei tentativi odierni di rivoluzionare tali leggi biologiche.
Spesso queste regole, sono state inconciliabili con il tentativo di molti creativi di stravolgerle, perchè risultate essere delle forzature per la normale gestione quotidiana dell’abbigliamento; una costante antropologica cui l’uomo non potrà mai farne a meno, ma che dall’altra parte, ormai, ne prende sempre più atto e potere, ed è per questo che sempre di più, essa è passiva ai moti della società e non riesce a soggiogarla.
Il genere Uomo, da relativamente pochi anni ha scoperto che l’abito può conformare una sua specifica identità, tanto che oggi è evidente al mondo quanto anche la moda Uomo vive le sue evoluzioni, i suoi trend e i suoi moti in base a un sempre più attento studio delle sue necessità e attitudini.
Miuccia Prada da qualche anno, ha imposto agli uomini, un’andatura più incerta, dovuta ai tacchi e alle suole sempre più alte del suo Uomo, sempre virile, ma desideroso di comunicare il suo essere sensibile, anche attraverso il suo abito.
In questo periodo storico di libertà espressiva della propria natura, ci si può avvicinare, sia uomo che donna, a un periodo storico o a un altro, identificandosi assolutamente o relativamente a un gruppo; che sia nerd, hippie, punk o semplicemente ordinari, gli uomini hanno pieno potere oggi della moda come strumento per identificarsi nel “tumulto” e molteplicità di moti di espressione che fanno parte della natura biologica della civiltà del ventunesimo secolo.
“Bio” anche come ecosostenibilità, che porta avanti in questo autunno/inverno 2015, soprattutto Stefano Pilati, direttore creativo di Ermenegildo Zegna, che per il suo uomo sceglie materiali e fibre naturali, introducendoli nel guardaroba dell’uomo contemporaneo.
Non so se la presenza in passerella, di pellicce e materiali animali si possa definire bio...sicuramente opposta a molti moti di pensiero che vedono la natura animale, intoccabile per fini “coprenti”, se ci si ferma, però, a pensare che l’uomo fin dalla preistoria si serve della natura, delle pelli animali, ad esempio, per coprirsi si possono per un momento dimenticare le ideologie animaliste delle associazioni odierne, forse non si criticherebbe la sfilata di Dolce & Gabbana che vede l’uso di pellicce e affini, come protagonisti del guardaroba dell’uomo contemporaneo.
mercoledì 18 novembre 2015
sabato 18 luglio 2015
CINQUANTA SFUMATURE DEL CIBO
Mentre nelle sale cinematografiche si fa la fila per vedere “Cinquanta sfumature di grigio”, il film scandalo tratto dalla trilogia della scrittrice inglese Erika Leonard (E.L. James), nella città meneghina, ma anche in tutto il bel paese, si respira sempre più “aria di Expo”, che il mese di maggio metterà in scena l’eccellenza culinaria di tutto il mondo, cui l’ Italia non ha nulla da invidiare agli altri paesi.
Così ovviamente la moda, uno dei settori cardine del business Italiano, non poteva ignorare tale fermento.
A prima vista due mondi lontani, la moda e la cucina, ma se ci si pensa i colori della moda con la loro continua trasformazione danno vita ad altre tonalità che facilmente possono accostarsi alle cromie culinarie.
Così nasce il nero di seppia, la cannella, il ribes o il bianco panna glacè, quest’estate vedrà protagonista l’arancio e il limone e l’inverno impazzirà di viola melanzana e di verde erba.
Chanel ricostruisce all’interno del Grand Palais un antico bistrot, allietato da profumi di croissant e champagne.
L’abito come nutrimento, un perfetto gioco di proporzioni come di sapori, ma soprattutto due elementi chiave dell’eccellenza italiana. Così lo chef Antonello Colonna ha aperto le porte del suo Open, lo scorso gennaio, per ospitare la collezione di alta moda Primavera/Estate di Gattinoni Couture.
Il direttore creativo della maison Gattinoni, Guglielmo Mariotto, si è ispirato alla perfezione del cibo facendo diventare gli ingredienti, dei veri e propri abiti. Così sfilano Bustier scolpito con vere spighe di grano con pantaloni in juta ricamati con veri biscotti e cappello realizzato con pasta di pane; in tutto il “menu” spiccano i gioielli di Gianni de Benedictis, designer del brand Futuro Remoto, che ha creato i gioielli della sfilata. Così al collo delle statuarie modelle si è fatto notare il collier- fourchette in platino che avvolgono preziosi spaghetti o gli orecchini fatti di pane e pietre dure, atti a celebrare la sapienza dell’Italia in ambito culinario.
Il colore nell'haute couture si trasforma quindi in veicolo comunicazionale energetico e visionario. Fa un gioco di rimandi e confronti di forte impatto emotivo, che rimanda anche al discorso sull’ecosostenibilità, il riciclo e il rispetto per il pianeta.
L’ispirazione viene anche dalla mostra “l’eleganza del cibo”, curata dal direttore della stessa maison, Stefano Dominella, che tratta proprio della contaminazione tra questi due mondi e della maestria degli artigiani italiani dell’uno e dell’altro settore. La mostra inizierà il 19 Maggio presso il museo Dei Fori Imperiali Dei Mercati di Traiano, a Roma.
Così ovviamente la moda, uno dei settori cardine del business Italiano, non poteva ignorare tale fermento.
A prima vista due mondi lontani, la moda e la cucina, ma se ci si pensa i colori della moda con la loro continua trasformazione danno vita ad altre tonalità che facilmente possono accostarsi alle cromie culinarie.
Così nasce il nero di seppia, la cannella, il ribes o il bianco panna glacè, quest’estate vedrà protagonista l’arancio e il limone e l’inverno impazzirà di viola melanzana e di verde erba.
Chanel ricostruisce all’interno del Grand Palais un antico bistrot, allietato da profumi di croissant e champagne.
L’abito come nutrimento, un perfetto gioco di proporzioni come di sapori, ma soprattutto due elementi chiave dell’eccellenza italiana. Così lo chef Antonello Colonna ha aperto le porte del suo Open, lo scorso gennaio, per ospitare la collezione di alta moda Primavera/Estate di Gattinoni Couture.
Il direttore creativo della maison Gattinoni, Guglielmo Mariotto, si è ispirato alla perfezione del cibo facendo diventare gli ingredienti, dei veri e propri abiti. Così sfilano Bustier scolpito con vere spighe di grano con pantaloni in juta ricamati con veri biscotti e cappello realizzato con pasta di pane; in tutto il “menu” spiccano i gioielli di Gianni de Benedictis, designer del brand Futuro Remoto, che ha creato i gioielli della sfilata. Così al collo delle statuarie modelle si è fatto notare il collier- fourchette in platino che avvolgono preziosi spaghetti o gli orecchini fatti di pane e pietre dure, atti a celebrare la sapienza dell’Italia in ambito culinario.
Il colore nell'haute couture si trasforma quindi in veicolo comunicazionale energetico e visionario. Fa un gioco di rimandi e confronti di forte impatto emotivo, che rimanda anche al discorso sull’ecosostenibilità, il riciclo e il rispetto per il pianeta.
L’ispirazione viene anche dalla mostra “l’eleganza del cibo”, curata dal direttore della stessa maison, Stefano Dominella, che tratta proprio della contaminazione tra questi due mondi e della maestria degli artigiani italiani dell’uno e dell’altro settore. La mostra inizierà il 19 Maggio presso il museo Dei Fori Imperiali Dei Mercati di Traiano, a Roma.
giovedì 19 marzo 2015
La Moda è un vizio, come l'abilità stilistica è una virtù
In un mondo dove l'ostentazione di ciò che si ha, supera di gran lunga quella di ciò che si è, ecco che la moda, rappresentazione suprema dell'immagine apparente, diventa un vizio, arrivando a prendere delle connotazioni negative.
Gli ultimi decenni, hanno sottoposto la moda a un cambiamento radicale del punto di vista passato.
Se prima erano gli stilisti a dettare legge sulla “buona educazione” del vestirsi e su cosa e come andava indossato, adesso la situazione si è ribaltata.
La moda si è messa sotto scacco in primis della situazione di crisi globale che tutta la società sta subendo, con conseguente modifica della richiesta, ma anche di un' interlocutore sempre più esigente, indipendente e informato, che ormai decide i tempi di azione delle case di moda, che non possono che perdere sempre di più la loro aurea di “virtuosa creatività”.
Lo scorso Gennaio, come di consueto, Milano è stata passerella delle sfilate Uomo Autunno/Inverno 2015/16, che sembra abbiano fatto da portavoci di una sempre più affermazione della moda maschile e di quanto anche gli uomini possono e devono curare la propria immagine anche e, perchè no, giocando col maquillage.
Il giovane di Emporio Armani cerca di far diventare un look casual meno casuale, intensificando il suo sguardo con il kajal.
L'uomo maturo di Giorgio Armani, invece si affianca alla donna che sfila con la sua stessa identica mise come a sottolineare quanto una donna resti ciononostante femminile, ma è difficile che succeda il contrario. Unico elemento che deve rimanere comune ai due sessi è l'eleganza che nn conosce evoluzioni, ma resta costante.
Brioni celebra invece la gentilezza dei poeti e dei cavalieri di fine 800, che nell'impero asburgico corteggiavano le principesse nei salotti viennesi. Un invito a recuperare quella classe quasi scomparsa delle nuove generazioni, che ha come sfondo il Castello Sforzesco.
Simile, ma non uguale il messaggio di Prada, che in questo totale caos di linguaggio cerca di tornare al significato imposto dal vocabolario per dare ordine in questa attuale babele ove tutto è lecito pur di dettare slogan ormai scontati.
Un look senza orpelli, assolutamente minimale, fiero di affermare la sua eleganza e sobrietà.
Sarà quindi che forse la necessità di “rieducare” è diventata per gli stilisti la loro nuova virtù?
lunedì 19 gennaio 2015
C'ERA UNA VOLTA LA CARTA STAMPATA
C’era una volta quell’emozione di recarsi al mattino dall’ edicolante di fiducia, con il cappuccino nel bicchiere di carta fumante e comperare uno, due, tre riviste curiosi di leggere l’ultimo articolo di Anna Piaggi.
C’era una volta il gesto di strappare con foga il celofan di Vogue e sentirne l’odore, toccarne le pagine patinate, assaporare la moda con tutti i suoi gusti, dolce, acida o caramellosa, guardare e ammirare come tra opera d’arte e comunicazione pubblicitaria fotografi come David Lachapelle avessero dato un’anima agli abiti degli stilisti più prestigiosi.
C’ era una volta la punteggiatura. I periodi erano sapientemente scanditi da virgole e punti e i punti esclamativi erano ben dosati e posizionati in modo opportuno.
La Moda se avesse un segno zodiacale sarebbe sicuramente gemelli, ambivalente e con tante sfaccettature.
Chiunque può parlare di lei, delle sue tendenze “spicciole”, su quanto quest’inverno si porti l’animalier , il cammello, il nero, il pizzo e un’infinità di altri vaghi riferimenti diventati prelibate leccornie di tutte le “esperte” bloggers del web. Solo, però, dei veri professionisti esperti, che hanno studiato e che per anni hanno dovuto misurare e nascondersi dietro articoli informativi che bandivano la presenza di qualsivoglia considerazione personale
la moda è anche altro. La si può vedere come l’immagine della società, delle sue evoluzioni, delle sue contraddizioni, espressione di condizioni culturali lontane dalle mere descrizioni di ciò che le modelle indossavano in passerella.
Certo è che negli ultimi tempi sia il mondo creativo che editoriale, accorgendosi della forza mediatica assunta da queste giovani figure, sta facendo notevoli ed evidenti opere di adulazione, invitandole alle sfilate o stendendo interviste nelle pagine della stampa internazionale.
Usare internet come nuovo veicolo di informazione, si,ma con moderazione, sfruttando la sua efficace velocità di comunicare e di trovare “tutto”, ma di filtrare questo “tutto” confrontandolo sempre con informazioni “DOC”.
Pertanto, invece di provare l’emozione di sfogliare le pagine del proprio giornale preferito, ci si deve abituare alla sensazione unica che dona il touch screen quando lo si sfoglia con le dita, la trepidazione e il leggero senso di ansia per la batteria che sta finendo, mentre però si continua a leggere le perle di saggezza di giornaliste che scrivono di quello che hanno studiato, seguito, sviscerato e vissuto per anni; acquisendo l’occhio e la mente di colui che conosce ciò di cui parla.
“The show must go on” delle riviste patinate, dell’edicolante sotto casa, dell’odore di colla misto a carta e alle nobilitazioni tipografiche, che devono esistere e recuperare un pò della loro lacerata egemonia.
C’era una volta il gesto di strappare con foga il celofan di Vogue e sentirne l’odore, toccarne le pagine patinate, assaporare la moda con tutti i suoi gusti, dolce, acida o caramellosa, guardare e ammirare come tra opera d’arte e comunicazione pubblicitaria fotografi come David Lachapelle avessero dato un’anima agli abiti degli stilisti più prestigiosi.
C’ era una volta la punteggiatura. I periodi erano sapientemente scanditi da virgole e punti e i punti esclamativi erano ben dosati e posizionati in modo opportuno.
La Moda se avesse un segno zodiacale sarebbe sicuramente gemelli, ambivalente e con tante sfaccettature.
Chiunque può parlare di lei, delle sue tendenze “spicciole”, su quanto quest’inverno si porti l’animalier , il cammello, il nero, il pizzo e un’infinità di altri vaghi riferimenti diventati prelibate leccornie di tutte le “esperte” bloggers del web. Solo, però, dei veri professionisti esperti, che hanno studiato e che per anni hanno dovuto misurare e nascondersi dietro articoli informativi che bandivano la presenza di qualsivoglia considerazione personale
la moda è anche altro. La si può vedere come l’immagine della società, delle sue evoluzioni, delle sue contraddizioni, espressione di condizioni culturali lontane dalle mere descrizioni di ciò che le modelle indossavano in passerella.
Certo è che negli ultimi tempi sia il mondo creativo che editoriale, accorgendosi della forza mediatica assunta da queste giovani figure, sta facendo notevoli ed evidenti opere di adulazione, invitandole alle sfilate o stendendo interviste nelle pagine della stampa internazionale.
Usare internet come nuovo veicolo di informazione, si,ma con moderazione, sfruttando la sua efficace velocità di comunicare e di trovare “tutto”, ma di filtrare questo “tutto” confrontandolo sempre con informazioni “DOC”.
Pertanto, invece di provare l’emozione di sfogliare le pagine del proprio giornale preferito, ci si deve abituare alla sensazione unica che dona il touch screen quando lo si sfoglia con le dita, la trepidazione e il leggero senso di ansia per la batteria che sta finendo, mentre però si continua a leggere le perle di saggezza di giornaliste che scrivono di quello che hanno studiato, seguito, sviscerato e vissuto per anni; acquisendo l’occhio e la mente di colui che conosce ciò di cui parla.
“The show must go on” delle riviste patinate, dell’edicolante sotto casa, dell’odore di colla misto a carta e alle nobilitazioni tipografiche, che devono esistere e recuperare un pò della loro lacerata egemonia.
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